
critiche d’arte-ritagli 1
16 Aprile 2020
Pensiero
21 Aprile 2020La ‘confessione’ di Mario DI CARA già era dato di reperirla nella cartella di litografie pubblicata dall’Editrice FOGLIO di Macerata. Non a caso dico confessione. Nella loro sequenza, infatti, quei fogli indicavano dell’artista il nucleo delle esperienze più autentiche e vitali, mai mediate da un’ intervento intellettualistico, bensì espresse nella risoluta defmizione dell’ordito grafico. Persino la cultura- e DI CARA è evidentemente uomo colto essendo anche un noto architetto e di continuo sollecitato dalla curiosità intellettuale —si insinuava nelle litografie non come matrice esclusiva, ma piuttosto come componente ritrovata sul filo delle affinità elettive. Onde il discorso era, ad un tempo, esplicito e crudele e si concludeva con un giudizio in un certo modo spietato intorno alle vicende dell’uomo contemporaneo. Di un uomo, cioè, prigioniero delle sue stesse mitologie, della civiltà da lui stesso elaborata. Se ho indugiato per un momento su queste litografie, l’ho fatto per poter contrapporle alla sua opera pittorica e trarre dal confronto alcune deduzioni che non mi paiono trascurabili. Il primo riscontro è questo: che DI CARA ha avvertito in profonda misura l’esigenza di superare quel rapporto fra l’Io e la realtà esistenziale che aveva promosso la raccolta grafica. Si potrebbe affermare altri, in altri termini, che essa sta all’opera pittorica come l’emblema sta al simbolo. Mentre nelle litografie-le quali ripeto sono importanti, mettendo a fuoco un atteggiamento non di comodo ma intimamente sofferto — il contenuto è preminente sul linguaggio, nei dipinti più recenti il contenuto si adegua al linguaggio con indubitabile puntualità al punto che, per dirla crocianamente, ormai “ nel simbolo l’idea non sta più da sé, pensabile separatamente dalla rappresentazione simboleggiante, né questa sta da sé, rappresentabile in modo vivo senza l’idea simboleggiata “. E ,si creda, in molti casi Croce costituisce ancor oggi un punto fermo. Il secondo, è un riscontro per certi versi conseguente, nel senso che, su questa via, l’immagine di DI CARA è andata progressivamente decantandosi, fmo a eliminare i residui discorsivi, le sedimentazioni di un apriorismo programmatico. DI CARA , insomma ,conclude la propria idea in una forma esclusiva, ad essa soltanto riferita. E le molteplici componenti di essa forma sono a tal fme ugualmente strumentalizzate: dallo spazio di fondo modulato in una tenuità tanto ambigua da qualificarsi dì per sé come Io spazio disponibile’ della psiche fino alle raffigurazioni delimitate dai profili in rilievo, che giusto risuonano quali immagini emergenti per illuminazione improvvisa dai labirinti dell’Io profondo. Ma emergenti, si badi, sulla prospettiva che, nelle litografie, aveva lumeggiato il percorso del ‘conscio’. In effetti DI CARA, come dimostrano le opere presentate alla Permanente di Milano , nonchè al XXII Premio Suzzara , ed anche in quelle recentemente esposte al Palazzo delle Belle Arti si adombra un ‘eros ‘primitivo , mentre le forme vagamente vegetali della ‘Venere’ sottintendevano un’agognata fusione fra l’Io e la Natura: una aspirazione panica. Non sono che citazioni, che tuttavia ritengo opportuno a farsi, quanto meno allo scopo di sottolineare la dovizia dei motivi dell’opera di DI CARA ma, soprattutto, la validità di un esito: poiché nessuna’ lettura’ sarebbe possibile ove la forma fosse approssimativa o storicamente scontata. Infine, dal momento che alla storia si è accennato, converrà pur dire che dinanzi alla marea dilagante di un malinteso surrealismo, la sola via che oggi possa trovare una legittimità storica nel contesto di queste esperienze, è la via del SIMBOLO : di un simbolo inteso nell’accezione dianzi rivelata che è appunto la via che percorre DI CARA, certo ,con coerenza ma anche con una volontà di approfondimento dei valori acquisiti da far sì che la ‘CONFESSIONE’ si sia trasformata in un canto: in un’ canto chiuso’ , nell’hortus conclusum, cioè, cui saggiamente miravano gli antichi. Anni addietro DI CARA avvertiva di essere fermo ai seguenti principi: a) intuizione artistica, che non rompa con le regole della cultura e dell’arte; b) concretezza, nella realtà positiva presente delle tecniche e delle scienze; e) coscienza, o piena consapevolezza della missione educatrice dell’arte in una società in movimento. Si può ben dire che questa rassegna ne costituisce la proiezione. Di Cara è certo rimasto fedele a sé stesso, ai suoi credi, ma ha portato avanti le proprie esperienze, allargando il concetto di coscienza fmo a farlo coincidere con quello della psiche: di un cosmo a livelli plurimi, nel quale Egli continua la propria investigazione.
Carlo MUNARI